lunedì 28 luglio 2008

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge


E' troppa la puzza che sento, Berlusconi, Schifani, il Presidente Napolitano che firma la loro diseguaglianza rispetto alla propria nazione, il coraggio di continuare a dire che gli inceneritori sono la cosa giusta, sentire quel Brunetta sparare una michiata all'ora su milioni di lavoratori che per 1000 euro al mese si trovano le infamanti accuse in allegato alla busta paga, Bossi, Veltroni che è il più grande socio di Berlusconi, l'accordo che si stipulerà con la Libia per ripagarli dagli errori fatti dai nostri governanti di allora, un'autostrada lungo tutta la costa verrà costruita in Libia a nostre spese, quando siamo rovinati per debito pubblico, precari, pensioni, ecc. Cose che fanno venire i brividi.
Per farli venire anche a voi miei lettori, preferisco leggiate la lettera di Marco Travaglio al numero 2 della nostra nazione Schifo Schifani, la lettera della fannullona dell'Inpdap al pezzetto d'uomo Brunetta e la richiesta di cartella clinica del nostro presidente della Repubblica da parte di Beppe Grillo.
Buona lettura.

26 luglio 2008, in Marco Travaglio
Lettera al presidente del Senato


di Marco Travaglio
l'Unità, 26 luglio 2008

Gentile Presidente del Senato, avv. sen. Renato Schifani, chi Le scrive è un modesto giornalista che ha avuto la ventura di occuparsi talvolta di Lei per motivi professionali. L’ultima - forse lo ricorderà - fu nel mese di maggio, quando Lei ascese alla seconda carica dello Stato e io pubblicai una sua breve biografia sull’Unità e nel libro “Se li conosci li eviti” (scritto con Peter Gomez) che poi presentai su Rai3 a “Che tempo che fa”. Anzitutto mi consenta di congratularmi con Lei per la Sua recentissima invulnerabilità penale, in virtù del Lodo Alfano, figlio legittimo del Lodo Schifani già dichiarato incostituzionale dalla Consulta nel 2004 e prontamente replicato in questa legislatura, anche grazie alla fulminante solerzia con cui Lei l’ha messo all’ordine del giorno di Palazzo Madama. E’ davvero consolante, per un cittadino comune, apprendere che da un paio di giorni l’articolo 3 della Costituzione è sospeso con legge ordinaria approvata in 25 giorni, e che dall’altroieri esistono quattro cittadini più uguali degli altri dinanzi alla legge, come i maiali della “Fattoria degli animali” di George Orwell. Il fatto poi che Lei faccia parte del quartetto degli auto-immuni è per tutti noi motivo di ulteriore soddisfazione.

Si dà il caso, però, che Lei mi abbia recentemente fatto recapitare in busta verde, da ben tre avvocati (uno dei quali pare sia un Suo socio di studio), un atto di citazione presso il Tribunale civile di Torino affinchè io vi compaia per essere condannato a risarcirLa dei presunti danni, patrimoniali e non, da Lei patiti a causa del mio articolo sull’Unità e della mia partecipazione al programma di Fabio Fazio. Danni che Lei ha voluto gentilmente quantificare in appena 1,3 milioni di euro. A carico mio, s’intende. Tutto ruota, lo ricorderà, intorno al fatto che avevo osato ricordare come Lei, alla fine degli anni 70, fosse socio nella Sicula Broker di due personaggi poi condannati e arrestati per mafia, Benny D’Agostino e Nino Mandalà; e che negli anni 90 Lei abbia prestato una consulenza in materia urbanistica per il Comune di Villabate, poi sciolto due volte per mafia in quanto ritenuto nelle mani dello stesso boss Mandalà. Circostanze che Lei non ha potuto negare neppure nel suo fantasioso e spiritoso atto di citazione (ho molto apprezzato i passaggi nei quali Lei fa rientrare quei fatti nell’ambito dei “commenti sulla vita privata delle persone”; e mi rimprovera di non aver rammentato come Lei sia stato socio non solo di persone poi risultate mafiose, ma anche di altri “noti imprenditori mai coinvolti in episodi giudiziari”, e come Lei abbia prestato consulenze non solo per comuni poi sciolti per mafia, ma anche per altri enti locali mai sciolti per mafia).

Ora, sul merito della controversia, decideranno i giudici. Ma non Le sfuggirà la sproporzione delle forze in campo, sulla bilancia della Giustizia, fra la seconda carica dello Stato e un umile cronista: i giudici, già abbondantemente vilipesi e intimiditi negli ultimi anni da Lei e dai Suoi sodali, sapranno che dar torto a Lei significa dar torto al secondo politico più importante del Paese, mentre dar torto a me è davvero poca cosa. E’ questo oggettivo squilibro che, in tempi e in paesi normali, consiglia a chi ricopre importanti cariche pubbliche di spogliarsi delle proprie liti private, per dedicarsi in esclusiva agli interessi di tutti i cittadini. Lei invece non solo non si è spogliato delle Sue liti private, ma ne ha addirittura ingaggiata una nuova (con me) dopo aver assunto la presidenza del Senato. Ora però quello squilibrio diventa davvero abissale in conseguenza della Sua sopraggiunta invulnerabilità. In pratica, se io volessi querelarLa per le infamanti accuse che Lei mi muove nel Suo atto di citazione, non avrei alcuna speranza di ottenere giustizia in tempi ragionevoli, perché il Lodo Alfano La mette al riparo da qualunque conseguenza penale delle Sue parole e azioni, imponendo la sospensione degli eventuali processi a Suo carico. Lei può dire e fare ciò che vuole, e io no. Riconoscerà che, dal mio punto di vista, la situazione è quantomai inquietante.

Ma c’è di più e di peggio. L’anno scorso l’ex presidente del consiglio comunale di Villabate, Francesco Campanella, indagato per mafia a causa dei suoi rapporti con la cosca Mandalà e con Bernardo Provenzano, ha raccontato ai giudici antimafia di Palermo che il nuovo piano regolatore di Villabate era stato addirittura “concordato” da lei e dal senatore La Loggia con il solito Mandalà. Lei e La Loggia annunciaste subito querela. E da allora i magistrati antimafia stanno verificando se Campanella si sia inventato tutto o magari dica la verità. Io Le auguro e mi auguro, visto che Lei ora rappresenta l’Italia ai massimi livelli, che prevalga la prima ipotesi. Ma, nella malaugurata evenienza che prevalesse la seconda, il Lodo Alfano impedirebbe alla magistratura di processarLa, almeno per i prossimi cinque anni, finchè terminerà la legislatura e, con essa, svanirà il Suo preziosissimo scudo spaziale. Converrà con me, Signor Presidente, che nella causa civile che Lei mi ha intentato la conclusione di quelle indagini sarebbe comunque decisiva per valutare la mia posizione: sia che le accuse di Campanella trovino conferma, sia che trovino smentita, sarebbe difficile sostenere che io non abbia esercitato il mio diritto-dovere di cronaca, segnalando ai cittadini una vicenda di così bruciante attualità e interesse pubblico. Detta in altri termini: non vorrei che la causa civile da Lei intentatami si concludesse prima delle indagini sul caso Campanella-Villabate, magari in conseguenza del blocco di quel procedimento per via del Lodo Alfano. Essere condannato a versarle 1 milione o anche 1 euro, e poi scoprire a cose fatte di aver avuto ragione, sarebbe per me estremamente seccante.

L’altro giorno, con nobile gesto, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha rinunciato preventivamente al Lodo, dando il via libera al processo che lo vede imputato per diffamazione ai danni del pm Henry John Woodcock. Mi rivolgo dunque a Lei, e alla prima carica dello Stato che quel Lodo ha così rapidamente promulgato, affinchè rassicuriate noi cittadini su un punto fondamentale: o ritirate le vostre denunce penali e civili finchè sarete protetti dallo scudo spaziale, oppure rinunciate preventivamente al Lodo in ogni eventuale processo che potesse eventualmente influenzare, direttamente o indirettamente, l’esito di quelle cause. In attesa di un Suo cortese riscontro, porgo i miei più deferenti saluti.


26 luglio 2008, in Diario
Lettera di una fannullona Inpdap al ministro Brunetta



Gentile Ministro,
perdoni se ho l’ardire di rivolgermi a Lei in questo momento così impegnativo per il governo in preda ad un parossismo decisionale che possa consegnarlo alla storia come merita, Le chiedo solo di leggere questa lettera che non sottrarrà più di cinque minuti al Suo indice di produttività.

Le racconto in breve la mia storia: sono una dipendente di un istituto di previdenza da più di dieci anni in servizio effettivo, mamma di due bambine e vivo in una città del profondo Sud. Appartengo anch’io a quella schiera di impiegati da Lei etichettati “fannulloni” non perché intendesse offenderci, questo lo capisco bene, ma semplicemente per fare capire in maniera immediata quale era il problema (un po’ come dire se io ripetessi in questa sede quel che di Berlusconi ha detto Di Pietro, anche in quel caso non per offendere, questo è ovvio, ma per far capire dove sta il problema).

Signor Ministro le scrivo per raccontarle, attraverso la mia vicenda, quella di milioni di altre mamme-impiegate affinché Lei, che per altri versi è così sensibile ai problemi della gente si renda conto della realtà in cui viviamo noi “fannulloni” (perdoni l’abuso del termine, il fine è sempre quello della comprensione). Io, come altre mie colleghe, da brava fannullona, mi alzo ogni mattina alla ore 6 a.m. e dopo aver fatto colazione e aver preparato le mie bambine di 4 e 6 anni esco di casa con le suddette bambine entro le 7.00, perché vede, io abito fuori città e per arrivare al lavoro devo uscire di casa molto presto. Dopo aver timbrato, solitamente alle 7.30, comincio la mia giornata lavorativa: il mio lavoro è ripetitivo ma l’utilità sociale che è insita nel predisporre le pensioni per chi (beato lui) ha maturato i requisiti e fare in modo che ne possa godere senza ritardi, pensi lei mi fa sentire utile. Da brava fannullona sforno decreti di pensione a tutto spiano affinché non debba sentire nessuno venir da me a dire “e iu comu mangiu”, affinché a fine mese possa percepire il mio stipendio pensando di essermelo più che guadagnato.

Negli anni la sede in cui lavoro si è svuotata di personale che è andato in pensione e non è stato sostituito da nessuno, pertanto più e più volte ho visto il mio carico di lavoro aumentare, ma a fronte dell’acquisizione di nuove e complesse competenze mi si continua a dire che siamo in esubero, che bisogna ridurre l’organico e lavorare di più: ma com’è possibile? Me lo chiedo ma nessuno mi risponde. Intanto l’arretrato avanza e quando qualcuno di noi comunica che presto andrà in pensione tutti ci guardiamo in faccia e ci chiediamo di quanto la redistribuzione del lavoro che consegue a ciascun pensionamento inciderà sul nostro carico di lavoro. E poi nessuno si spiega perché mai ci sia tanto arretrato, sarà che la matematica è un’opinione. Malgrado tutte le suddette difficoltà continuo a lavorare con quel senso del dovere che mi ha trasmesso mio padre e dal quale non posso prescindere.

Pensi lei, signor Ministro, ogni giorno mi illudo di aver lavorato bene, e nel mio piccolo, di essere stata utile a qualcuno compiendo il mio dovere con la serietà e la professionalità che negli anni ho acquisito. Questo mi consente di guardarmi allo specchio ogni mattina e di non vergognarmi di essere un impiegato pubblico, come lei ha di recente sostenuto che molti di noi fanno, ma anzi di essere orgogliosa. Ma ultimamente qualcosa è cambiato, sa Signor Ministro, comincio a sentirmi demotivata: a che serve che io lavori così tanto se poi comunque di me si dirà sempre che appartengo alla schiera dei “fannulloni”?: la tentazione di incrociare la braccia è forte, molto forte.

L’opinione pubblica, adeguatamente manipolata da una campagna mediatica diffamatoria e parziale, non è con me, ma contro di me, e non è facile far capire alla gente. Quel che è facile, invece, è cavalcare l’onda del malcontento della gente e indirizzare la folla a puntare contro il “mostro” di turno, pubblico impiegato o rom o sinti che sia. Puntare sul malcontento porta sempre tanto consenso, questa non è una novità, è facile, infatti, dire che le cose non funzionano, su questo siamo tutti d’accordo e pronti a battere le mani, ma, ahimè, non è riducendo i salari che si rende più efficiente la PA (altrimenti lo avrebbero già fatto da tempo), né privatizzando quelli che oggi sono dei servizi che nascono da diritti per i quali si è a lungo lottato, così come non è riducendo la retribuzione di chi si ammala (non occorre che io Lei ricordi, con gli adeguati scongiuri, quanto sia diffuso il cancro) che disincentiviamo l’assenteismo ma è piuttosto intensificando i controlli che facilmente si distinguerà il “falso” malato da quello vero, perché purtroppo, nessuno sceglie di ammalarsi e non è giusto accanirsi con chi già non ha abbastanza soldi per curarsi. Tutto questo lede la dignità del malato, del pubblico impiegato, attualmente indicato a “dito”, ma soprattutto lede la dignità della persona in quanto tale.

Le dirò signor Ministro, anziché carnefice come impiegato pubblico e vittima come cittadino, oggi mi sento più volte vittima: come cittadina, come lavoratrice, come mamma, come italiana. Però, quel che è giusto è giusto, bisogna riconoscere che questo governo ha alleggerito la pressione fiscale, si, infatti, sappiamo tutti cosa ha fatto: ha tolto l’ICI. Certo, nel mio caso, sarebbe stato meglio che anziché togliere l’ICI avesse evitato di toccare il mio salario. Infatti, io di ICI, io, che non ho una villa ma solo una casa di prima abitazione in un comune in periferia (con il mio stipendio, infatti, non potrò mai permettermi una casa in centro: è già tanto se mi riesce di finire di pagare questa) e dunque ho sempre usufruito di sgravi, non ho mai pagato più di € 60 euro all’anno. Grazie signor Ministro: quest’anno sul mio bilancio, a fronte di sessanta euro di risparmio fiscale avrò qualcosa come 5.000 euro di meno sull’importo di stipendio annuo. Non Le dico come sono contenta!

Adesso Lei si chiederà perché non sono contenta, e perché mai sulla mia fronte si sia disegnata quella ruga, mah non so, sarà che i fannulloni di oggi sono un po’ più complicati di quelli del passato. L’autunno si preannuncia caldo ma pieno di nembi all’orizzonte, la lotta sarà dura ma, Le dirò, Signor Ministro, non demorderò facilmente se non altro perché mia figlia, interrogata sulla professione della madre, non abbia da vergognarsi a dire che è un’impiegata pubblica e non si debba vergognare una seconda volta a dire che in famiglia non si arriva alla fine del mese anche perché, in previsione del futuro, sto cercando di spiegarle che povertà non è vergogna ma, invece, corruzione, tangenti, peculato, immoralità (tutti termini che la classe politica ben conosce) queste sì che sono vergogne.

Fannullona INPDAP

25 Luglio 2008
Steve Jobs e Giorgio Napolitano di Beppe Grillo


Steve Jobs, 53 anni, nella sua ultima apparizione pubblica è apparso dimagrito, pallido. Steve Jobs soffre da tempo di un cancro al pancreas da cui sembrava guarito. Steve Jobs è il creatore della Apple. Molti pensano che sia lui il vero innovatore, l’unico genio dell’informatica. Non Bill Gates.
Steve Jobs è la Apple. La sua salute non è solo un fatto privato, è anche un fatto economico di rilevanza mondiale. La Apple non rilascia dichiarazioni sullo stato di salute di Steve Jobs. Gli analisti finanziari e gli azionisti vorrebbero sapere se Jobs può o meno continuare a ricoprire il suo incarico di presidente della Apple e per quanto tempo. Un analista ha spiegato che se la Apple vuole considerare la salute di Jobs un fatto privato, deve trasformarsi in società privata e ritirarsi dalla Borsa.
Giorgio Napolitano, 83 anni, trenta più di Jobs, nelle sue ultime apparizioni pubbliche è apparso sempre più distante, etereo. Giorgio Napolitano è in apparente buona salute, ma ricordando il suo passato, non trovano giustificazioni le sue prese di posizione e le sue azioni. Si è pronunciato contro la spettacolarizzazione dei processi quando le procure sono sotto l’attacco del governo. Ha firmato senza battere ciglio il lodo Alfano. Una legge incostituzionale. Ha trascorso un sereno compleanno in piazzetta a Capri tra musicanti e inquisiti, tra cui la moglie di Mastella e Bokassa Bassolino. Giorgio Napolitano rappresenta l’Italia. La sua salute non è un fatto privato. La salute può essere l’unica giustificazione del suo comportamento. Vorrei essere rassicurato se è in grado di esercitare ancora il suo incarico e per quanto tempo. Se possibile disporre della sua cartella sanitaria.
Un Presidente della Repubblica debole, (malato?), soggetto a pressioni, è utile sia al PDL, che fa passare tutte le leggi razziali e anticostituzionali che vuole, sia al PDmenoelle, che preferisce un presidente diessino, uno di famiglia, a uno Schifani. Infatti, in caso di rinuncia alla carica da parte di Napolitano il suo posto sarebbe preso dall’impiegato di Berlusconi, attualmente presidente del Senato. Meglio Napolitano che uno Schifani che scoppia di salute.

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